Nel 1843, dopo essere stato acquistato, arrivò alla National Gallery un quadro che è tuttoggi uno dei capolavori presenti nel museo: il Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan Van Eyck, dipinto e firmato dal pittore nel 1434.
Il quadro fu la prima opera di pittura fiamminga ad entrare nelle collezioni della National Gallery e una delle più antiche, in quanto quelle presenti erano datate dal XVI secolo in avanti, ed era un’opera completamente diversa nello stile e nel soggetto. Lodato per la tecnica, Van Eyck fu per molto tempo considerato il padre della pittura ad olio, il quadro veniva esaltato per la brillantezza dei colori non oscurati dal passaggio del tempo e per quella straordinaria capacità del pittore di rendere i riflessi della luce.
Il soggetto, non la consueta scena religiosa, raffigura un evento privato di personaggi viventi che mostrano il loro status e ricchezza in quegli oggetti domestici che hanno un’aurea complessa ed enigmatica che affascinò i pittori, la critica e il pubblico Vittoriano dandogli quella fama misteriosa, che alimenta ancora numerosi studi e domande non risolte sull’opera. Nella stanza rappresentata con minuta dedizione, richiama l’attenzione al centro dell’opera uno specchio convesso che riflette alle spalle dei due coniugi due personaggi in piedi, uno dei quali dovrebbe raffigurare il pittore stesso.
A quell’epoca piccoli specchi convessi erano presenti nelle case e si trovavano vicino alle porte o finestre per creare effetti luminosi nelle stanze.
Lo specchio ha diversi significati morali e religiosi ma la presenza dei due personaggi al cospetto dei coniugi come testimoni serve a suggellare la legittimità del matrimonio siglata anche dalla firma e data dal pittore. Lo specchio, in quest’opera, ha un effetto pittorico rivoluzionario permettendo di aprire lo spazio a trecentosessanta gradi su una tela che è bidimensionale, questo illusionismo ispirò molti artisti delle generazioni successive.
Tra queste ci sono stati tre giovani studenti della Royal Academy of Arts che era situata nello stesso edificio della National Gallery, quindi con facile accesso alle opere per gli studenti, i loro nomi erano Dante Gabriel Rossetti, John Everett Millais e William Holman Hunt.
I tre pittori furono colpiti e ispirati profondamente dalla novità dell’arte di Van Eyck e decisero di formare un movimento conosciuto come The Pre-Raphaelite Brotherhood, la Confraternita dei Preraffaelliti.
Il movimento rivoluzionario aveva come fondamento la rottura con l’accademismo incentrato sul manierismo postraffaellita e basato su regole statiche della prospettiva piramidale, con al centro il soggetto e l’ombra in un lato del quadro, e canoni di bellezza classica.
I Preraffaelliti rompono la prospettiva, guardano all’arte medioevale fino a Raffaello considerandola un’arte più vicino al vero e alla natura. Le loro opere sono realiste e moraliste. I loro primi soggetti erano religiosi e cattolici per questo molto scandalosi nella protestante Inghilterra, successivamente passarono a temi letterari (Shakespeare e Tennyson erano i favoriti), fino ad arrivare a tematiche contemporanee come: vita nella città, ruolo della donna nella società, prostituzione anticipando di un ventennio gli Impressionisti.
Le donne furono molto attive nel movimento modelle, artiste, artigiane, poetesse, mogli, compagne e sorelle dei Preraffaelliti furono fonte di ispirazioni e artefici creative nel movimento.
Van Eyck li ammaliò con l’effetto dello specchio convesso che insegnò loro un nuovo metodo di rappresentazione dello spazio reale e illusorio. Lo specchio permetteva di duplicare lo spazio interno tramite il riflesso e permetteva di creare un interno domestico più intrigante e misterioso.
Pochi oggetti racchiudono una così grande moltitudine di significati simbolici come lo specchio.
Nel corso della storia esso è stato rappresentato come allegoria della vanità e della superbia; come simbolo di prudenza e di conoscenza oppure di inganno; come il luogo in cui si forma l’io e la coscienza di sé e contemporaneamente avviene lo sdoppiamento tra il soggetto reale e la sua immagine ideale o il suo doppio diabolico; come una porta di passaggio tra il mondo della realtà e un mondo immaginario.
L’utilizzo dello specchio nelle arti visive ha permesso la contrapposizione tra l’occhio e lo sguardo, tra il vedere e il comprendere, tra l’esteriorità e l’interiorità. Esso inoltre ha consentito di dilatare lo spazio svelando ciò che non si vede e non è presente nel campo figurativo rappresentato, ma diventa visibile allo spettatore solo tramite il riflesso dello specchio.
I Preraffaelliti usarono il riflesso dello specchio convesso in diverso modo nelle loro opere: alcuni lo utilizzarono per aumentare e intensificare la realtà, altri in modo introspettivo nei loro autoritratti e altri per approfondire temi particolari e letterari legati a famose leggende.
William Hunt e Edward Burne-Jones usarono lo specchio per aumentare lo spazio di composizione e riflettere un altro aspetto dell’ambiente non visibile per lo spettatore. Specchi di tipo convesso erano molto di moda negli arredamenti della classe media di epoca vittoriana.
Hunt nel suo Il Dolce far niente ritrae la sua fidanzata dell’epoca Annie Miller (successivamente ne modificherà la fisionomia del viso con quello della moglie Fanny) che sembra intenta a guardare lo spettatore ma dal riflesso dello specchio si vede che è adagiata di fronte a un caminetto raffigurando quindi una donna contemplativa o sognante.
Nell’opera si vede anche la ricerca minuta dei dettagli come in Van Eyck nei tessuti, nei mobili, nei tendaggi e nei fiori.
Burne-Jones nel suo ritratto della figlia Margaret Burne-Jones, la ritrae seduta di fronte ad un immenso specchio convesso che permette di vedere l’altra parte della stanza illuminata da una finestra. Lo specchio che fa quasi da aureola alla giovane focalizza il centro del quadro negli occhi blu della giovane, colore ripreso anche nel vestito di gusto medioevale della ragazza e nel fiore blu, una cicerchia odorosa, omaggi alla tecnica di Van Eyck.
Il movimento Preraffaellita era anche un movimento letterario e poetico e fonte di ispirazione per quasi tutti gli artisti fu anche un’ opera di Alfred Tennyson intitolata de Lady of Shalott.
L’opera era ispirata ai cicli arturiani basati su fonti medioevali come Le Morte Darthur o l’italiano la Donna di Scalotta. L’opera parla della tragica morte di Elaine d’Astolat, una giovane donna che era stata rinchiusa in una torre in un’isola vicino a Camelot e per una maledizione non poteva vedere il mondo reale se non attraverso uno specchio. Un giorno mentre stava ricamando vide riflesso nello specchio una giovane coppia e un bellissimo cavaliere di nome Lancillotto. Colpita dalla bellezza di Lancillotto si voltò a guardare la finestra, il mondo reale e Camelot, lo specchio dietro di sé si ruppe e la maledizione ebbe inizio. Sapendo che stava per morire la giovane salì sulla barca e morì lungo il tragitto verso Camelot. Al suo arrivo vicino a Camelot tutta la corte fu colpita dalla notizia e Lancillotto amaramente ammirò il viso grazioso della Lady di Shalott.
I pittori Preraffaelliti furono affascinati dal poema e si divisero su chi preferiva raffigurare la giovane donna nella torre o chi preferiva la drammaticità della sua triste morte.
Sidney Harold Meteyard e John William Waterhouse nel 1913 e nel 1918 presentano lo stesso soggetto intitolato I am half-sick of shadows è una parte iniziale del racconto dove la donna rinchiusa nella torre sta tessendo il telaio magico. La Lady è qui raffigurata nel suo dramma, dolore e stanchezza della distanza fisica dalle persone in un mondo che lei vede solo filtrato dal riflesso come un’ombra nel suo mondo.
Meteyard la raffigura vestita di azzurro con gli occhi chiusi mentre sogna il mondo esterno ma sul telaio magico già è raffigurato Lancillotto in armatura dorata artefice del suo triste destino.
Waterhouse la raffigura di rosso vestita con le braccia incrociate sulla testa in segno di stanchezza e riposo dalla tessitura, dallo specchio si vede un ponte che porta alle mura turrite di Camelot.
La nobildonna è in un ambiente con colonne romaniche che sorreggono gli archi della finestra, l’interno scuro è ravvivato dai colori vivaci del telaio che riprendono quelli del mondo esteriore.
Un tulipano rosso e il telaio che ricorda la forma di una barca sono simboli della futura morte della donna.
William Hunt, John William Waterhouse e Elizabeth Siddal raffigurano poi il successivo momento nella terza parte del romanzo quando la Lady of Shalott vede Sir Lancillotto nello specchio: alla vista della sua bellezza e sentendolo cantare si protrae verso la finestra dando inizio alla sua maledizione che inizia con la rottura dello specchio.
Elizabeth Siddal, fu la famosa modella per l’Ofelia di Millais e sposò successivamente Rossetti in un rapporto complicato che la portò in una tragica morte con il suicidio, raffigura la nobildonna che innocentemente si volta verso la finestra mentre lo specchio alle sue spalle incomincia a creparsi.
La versione di Hunt è molto più complessa e drammatica è il momento della maledizione quando lo specchio si rompe i fili si ingarbugliano intorno a questa femme fatale. I suoi maestosi capelli sono mossi da un forte vento che fanno scappare le colombe che vanno verso l’arazzo in rovina come la sua vita.
Waterhouse riprende la versione di Hunt ma pone al centro dell’opera lo specchio con le sue fratture e la nobildonna vestita di bianco avvinghiata nei fili della sua tela guarda dritta lo spettatore con uno sguardo sorpreso, ancora ignara del suo fatale destino. Waterhouse crea una compassione verso la dama di Shalott, anche se i fiori neri sul pavimento annunciano il suo futuro di morte.
Seguendo l’esempio dei Preraffaelliti anche William Orpen e Mark Gertler utilizzano lo specchio convesso ma per uno studio più introspettivo giocando sul tema dell’autoritratto.
Willliam Orpen nella sua opera Mirror (specchio) raffigura la sua fidanzata Emily Scoble nel suo appartamento riprendendo l’idea del famoso ritratto della madre di Whistler, aggiunge al centro lo specchio convesso dove si autoritrae dipingendosi attivo al suo cavalletto.
Mark Gertler nel suo Still Life With Self Portrait1918 (natura morta con autoritratto) sembra porsi un interessante dilemma. Il pittore dipingendo un suo autoritratto nello specchio convesso in un quadro di natura morta, sembrerebbe suggerire che lui come la frutta che esce dal sacchetto un giorno si deteriorerà e morirà. Il samurai giapponese sulla destra dello specchio, in atto aggressivo abbassa la sua katana sul riflesso del pittore, sembra accentuare il tema della fugacità della sua vita.
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