Washington Irving nei sui “Racconti sull’Alhambra” la descrive come un oggetto di devozione: “la residenza reale dei Re Mori, dove circondati dallo splendore e dalla raffinatezza del lusso arabo, mantenevano la dominazione su quello che loro consideravano il paradiso terrestre, e tentavano l’ultima difesa del loro impero in Spagna”.
Il nome Alhambra deriva dalla parola araba qalat-al-hamrà che significa rosso, castello rosso probabilmente dato dai materiali farraginosi utilizzati per la sua costruzione, principalmente mattoni di adobe realizzati con argilla, sabbia e paglia essiccata all'ombra.
L’Alhambra fu costruita sia come fortezza sia come residenza reale per i sultani, dopo che i cristiani ricatturarono Cordova, che era la capitale ufficiale del poderoso Impero Islamico d’Occidente, conosciuto come El Andalus.
Bisogna fare una distinzione fra i musulmani di Spagna: tra quelli provenienti da est, gli Arabi, che si consideravano la pura razza discendente dal Profeta, e quelli provenienti dall’Africa Occidentale ovvero i Berberi tribù guerriere e potenti originarie del Monte Atlas e del deserto del Sahara, conosciuti come i Mori che assoggettarono le tribù della costa, fondarono il Marocco e per molti anni combatterono con gli Arabi per il controllo della Spagna musulmana.
Dalla metà del 1200 la dinastia Mora dei Nasrid stabilì la costruzione dell’Alhambra sopra un’esistente fortezza del X secolo araba, costruendo un complesso con cittadella e palazzi reali unici al mondo.
Nei suoi anni migliori l’Alhambra come città palatina occupava un' estensione approssimativa di 104.000 metri quadrati, fortificata con mura composte da 30 torri e tre porte d’entrata.
All’interno si trovavano palazzi reali, moschee private e pubbliche, la Madraza (l’università), residenze nobiliari e popolari, tutti gli uffici burocratici, la zecca reale, negozi, botteghe artigianali, bagni pubblici e privati, cimitero reale e una fortezza con quartieri militari.
La prima costruzione che si innalzò fu l’Alcabaza, la fortezza e la muraglia che fanno da recinto all’intera Alhambra. Quando Al-Ahmar salì sul trono di Granada nel 1238 decise di non costruire Alcabaza sopra quella antica nella collina del Albaicin ma per sicurezza preferì innalzarla nella collina adiacente, fuori dal recinto della città, libera da edifici e con più facili accessi alla sierra e al mare.
La fortezza si alza a 200 metri dalla città di Granada, con forma triangolare, con torri alte 20 metri e con doppia linea di mura che le permisero di non essere mai espugnata.
Nel centro del Alcabaza, si trovano le rovine delle case del corpo di guardia e grazie ai loro resti si possono ancora vedere la disposizione di una tipica casa musulmana: entrata, piccolo patio intorno al quale potevano esserci due o quattro stanze, e poi il bagno.
Tra queste si distacca per il triplo delle dimensioni con al centro uno specchio d’acqua la residenza del capo della guarnigione.
Dietro a queste rovine si può ammirare la Torre de la Vela, la più alta torre con i suoi 27 metri.
Il suo nome deriva dalla parola vigilare e da lì si poteva controllare tutto quello che succedeva a Granada. In epoca cristiana si collocarono delle campane per avvisare la popolazione in caso di terremoto o incendio.
La parte più affascinante dell’Alhambra è il complesso dei Palazzi Nasridi che costituivano la Casa Reale o Alcazar dove si articolava la vita ufficiale e familiare dei Re Nasridi, quest’area non è al centro ma sorge lateralmente orientata verso l’Albaicin.
Il complesso è caratterizzato da tre palazzi costruiti in epoche diverse e con funzioni diverse.
Il primo fu il Mexuar che si utilizzò come sala per le udienze con i sudditi e per l’amministrazione della giustizia, poi il Palazzo de Comares come residenza ufficiale del Re e in fine il Palazzo dei Leoni, identificato come l’harem, era la dimora più intima della famiglia reale.
L’aspetto esterno degli edifici islamici è semplice quasi modesto senza motivi o elementi decorativi, completamente opposto è l’interno profondamente ricco di decorazioni, a volte persino dal pavimento fino al soffitto senza spazi vuoti, questo seguendo l’usanza musulmana di vivere maggiormente negli interni.
Il primo palazzo il Mexuar era composto dal giardino de Machuca, dalla Sala del Mexuar e dal Patio del Mexuar. La sala del Mexuar in origine aveva un tetto aperto con una lanterna nella parte centrale per far entrare la luce. Era collocato un ambiente elevato chiuso da inferiate dove il sultano si sedeva per ascoltare le richieste dei suoi cittadini senza essere visto. In epoca cristiana l’ambiente ha subito notevoli modifiche per essere trasformato in una cappella ma permangono i tipici motivi decorativi arabi che possono essere divisi in tre gruppi: epigrafi, vegetali e geometrici. Le iscrizioni non solo compiono la funzione di tema decorativo ma hanno anche una valenza iconografica comparabile alla funzione che hanno le immagini nel mondo cristiano.
I motivi vegetali che possono ricoprire anche grandi superfici sono continue referenze religiose al Corano quando parla del Paradiso come “giardino della felicità”.
Motivi ricorrenti sono le piante, alberi, pigne e anche conchiglie che sono il simbolo dell’acqua, di benedizione e della parola di Allah. Altro motivo vegetale molto ricorrente è l’arabesco costituito da foglie e vegetali che si dispongono in maniera dinamica, ritmica e geometrica su tutta la superficie.
Tra le decorazioni geometriche la forma che ricorre maggiormente è la stella (di 8, 16 o più punte) originate dalla rotazione del quadrato che si unisce ad altre stelle e quadrati formando un labirinto geometrico come si può vedere nella Sala del Mexuar.
Proseguendo si può ammirare la facciata del Palazzo de Comares splendida per la sua ricchezza decorativa e per la sua composizione. La parte superiore presenta una grondaia in legno di cedro decorata con pigne e conchiglie. In basso le finestre chiuse dalla mashrabiyya, una stretta griglia, indica l’abitazione delle concubine che potevano vedere senza essere viste. Le due porte a forma rettangolare bordate da mantovane di ceramica indicano l’entrata ufficiale al palazzo del sultano. Le diramazioni sono a destra o a sinistra mai in linea retta in maniera che il visitatore rimanga disorientato e gli sia più difficile l’entrata e l’uscita rimanendo quindi alla mercè dell’anfitrione. Si entra nel Patio de los Arrayanes (nome che deriva dai mirti che si trovano nel suo perimetro esterno) disegnato nelle più pure linee arabe con capitelli di mocarabes (in arabo muqarna) sono prismi o poliedri, normalmente di legno o stucco, tagliati di forma concava nella parte inferiore. Al centro si trova uno specchio d’acqua dove tutto si riflette con precisione millimetrica dando la sensazione di eternità mentre le fonti di acqua circolare rappresentano il processo vitale.
Nella galleria nord del patio si accede alla Sala della Barca, questa è l’anticamera del Salone degli Ambasciatori e prende il suo nome dalla forma del suo tetto che sembra una barca rovesciata o dalla parola araba “baraka” che significa benedizione e qui venivano incoronati i sultani.
Subito dietro la Sala della Barca si incontra la sala più ampia ed elevata di tutto il palazzo costruita nella forma di un cubo perfetto all’interno della torre de la Comares, la Sala degli Ambasciatori.
La Sala degli Ambasciatori è decorata alle pareti come un grande tappeto di stucco con conchiglie, fiori e stelle che ci dà un esempio naturalistico dell’architettura araba che cerca di ricreare la natura nei suoi interni.
La sala era completamente policroma di color oro sulle parti in rilievo e di diversi colori nelle cavità. Altre decorazioni costanti alle pareti sono le scritte in cufico, scrittura colta e rettilinea che poche persone conoscevano e la corsiva, scrittura che ricorre in più punti dell’Alhambra. La parte inferiore dei muri è decorata con azulejos, piastrelle in ceramica, i più ricchi di tutte le sale sono decorati con una stella di otto punte intorno al quale girano altre in circoli concentrici creando reti. I colori si alternano: il verde è il colore del Profeta, il giallo il colore del sole, l’azzurro il colore del cielo e del Paradiso e il rosso il colore del sangue e dell’ardore guerriero ed eroico. Tutta l’arte araba è strettamente relazionata con la perfezione spirituale e la matematica, nella quale erano maestri come possono dimostrare il loro sistema numerico e gli innumerevoli trattati di algebra.
Il pavimento non è più quello originale che era in ceramica invetriata bianca e blu.
La parte più straordinaria di tutta la sala è il soffitto capolavoro della carpenteria musulmana. La volta è alta 18 metri realizzata in legno di cedro con inserti di legni più chiari per la decorazione delle stelle.
Ci sono sette corone di stelle fino ad arrivare alla cupoletta centrale che rappresenta quella del Paradiso islamico. Ognuna di queste corone sono i sette cieli che uno deve attraversare per accedere al Paradiso e le quattro diagonali rappresentano i quattro fiumi del Paradiso, che similmente all’Antico Testamento, è rappresentato come un eden o giardino.
Nella sala ci sono nove nicchie o alcove, tre per ciascuno dei lati della stanza, strette e allungate (circa 2,5 metri), l'alcova centrale sul lato nord è quella del sultano, proprio di fronte alla porta d'ingresso.
Per comprendere meglio l’uso della Sala degli Ambasciatori tutto qui ha un significato che sia mistico, matematico o esoterico.
La sala a forma cubica rappresenta il mondo, mentre la cupola è il cielo significando che tutto sta sotto a Dio. Tutto doveva svolgersi dal basso infatti i visir del re si sedevano nelle alcove mentre il sultano occupava l’alcova centrale per dominare lo spazio interiore ed esteriore della sala.
L’ambasciatore o visitatore in udienza entrava dal patio completamente illuminato mentre il sultano e i suoi visir erano nella penombra illuminati dalle luci che entravano dalle finestre colorate.
Questo creava un’inferiorità al visitante che dalla luce accecante entrava in una sala in penombra.
Questo gioco di luci è molto importante nelle abitazioni arabe.
Le finestre superiori della Sala hanno solo una funzione di ventilazione mentre la luce entra da quelle inferiori. Le finestre sono basse perché era usanza reclinarsi al suolo su cuscini e divani per questo tutta l’Alhambra è stata realizzata per essere vista dal suolo perché è il punto dove si uniscono tutti gli spazi e i giochi di luce.
Questa è la Sala dove l’ultimo sultano Boadbil accordò la resa di Granada ai Re Cattolici Isabella e Ferdinando e dove il re Carlo V esclamò: “Disgraziato colui che ha perso tanta bellezza”.
Il terzo palazzo reale destinato alla vita privata del sultano e della sua famiglia era costituito nel centro dal famoso Patio de los Leones intorno al quale si dispongono la Sala de los Mocarabes, la Sala de Abencerrajes, La Sala dei Re e la Sala de Dos Hermanas. Tutte queste sale erano alcove intorno al patio, che non lasciano dubbi sulla funzione di harem. Nessuna sala ha finestre che si aprono all’esterno ma hanno un giardino interno, un hortus conclusus, che corrisponde all’idea araba del paradiso e che la stessa parola harem ci mostra con il suo significato di santuario.
La disposizione del patio ricorda il patio delle case romane e ci sono senza dubbio molte influenze cristiane dovute all’amicizia del sultano Muhammad V, costruttore del Palazzo dei Leoni, e del re cristiano Pietro I “Il Crudele”. Nel Patio dei Leoni tutto è un’allegoria del Paradiso, un’oasi pietrificata e viva allo stesso tempo. Circondato da 124 colonne di marmo bianco di Almeria sono il simbolo delle palme e nel centro secondo alcune teorie doveva trovarsi un giardino poi successivamente ricoperto da lastre di marmo e i due templi ai lati opposti del giardino riecheggiano le tende dei beduini e la vita nomade.
Quattro corsi d’acqua, i quattro torrenti del Paradiso, tagliano il patio per congiungersi al centro nella fontana dei dodici Leoni. Le leggende su questa fontana sono diverse: per alcuni sono i dodici mesi dell’anno, per altri rappresentano i segni zodiacali, per altri sono le lacrime di una principessa che cadendo al suolo ha fatto emergere i dodici leoni. In realtà è un’opera d’arte ebrea che rappresenta le dodici tribù di Israele e sono un dono del visir e poeta ebreo Samuel Ibn Nagrela al sultano Muhammad V. Il Patio dei Leoni con le sue influenze cristiane ed opere ebree è un esempio della convivenza amichevole tra le tre religioni monoteiste: la cristiana, ebrea e musulmana.
La Sala de los Abencerrajes era la stanza privata del Sultano. I muri sono riccamente decorati: lo stucco e i colori sono originali. Le piastrelle sulle pareti sono di fabbrica sivigliana, del XVI secolo e rappresentano lo zodiaco.
La cupola è una bellissima stella a otto punte realizzata a muqarnas in gesso che dà la sensazione delle stalattiti di una grotta; al centro del pavimento una piccola fontana serviva per riflettere le decorazioni della cupola anche sul suolo. A seconda delle ore della giornata la luce che penetrava all'interno della sala dava una colorazione sempre differente, incantevole e magica.
La "Sala dei Re", occupa tutto il lato orientale del cortile, è chiamata così per le pitture che decorano la volta dell'appartamento centrale. È la sala più grande dell'Harem, divisa in 3 stanze uguali e due più piccole che potevano servire da armadi, per via della loro posizione e della carenza di illuminazione.
Probabilmente questo luogo era destinato alle feste di famiglia.
Nella volta centrale, i dipinti rappresentano i primi 10 sovrani di Granada, dalla fondazione del sultanato, quello con la barba rossa si presuppone che sia Muhammad ibn Nasr, conosciuto come al-Hamar (il Rosso), fondatore della dinastia dei Nasridi. Sulle volte laterali delle decorazioni raffigurano cavalieri e dame, realizzate alla fine del XIV secolo: durante il suo regno, Pietro I di Castiglia chiese aiuto al Sultano di Granada per restaurare il suo castello (l'Alcázar di Siviglia), questo portò ad un vero e proprio interscambio artistico tra i due regni.
I due dipinti sono stati realizzati con una tecnica complessa su cuoio.
La Sala de las dos Hermanas era la sala destinata alle favorite del sultano che vivevano con una certa indipendenza, avevano un punto panoramico sulla città e avevano una porta che connetteva direttamente con i bagni. Il nome deriva probabilmente dalle lastre di marmo bianco poggiate sul suolo ai lati della fontana centrale uguali per dimensione, colore e peso o per una delle poesie scritte sul muro che citano la costellazione dei Gemelli. La cupola in stucco è splendida a forma di stella con buchi che ne danno leggerezza e movimento.
Alla fine si trova il Mirador de Lindaraja, la Casa della Sultana. È per la sua bellezza e raffinatezza una delle stanze più spettacolari dell’Alhambra. Curata in tutti i dettagli: ha una cupola in legno con inserti di cristalli colorati, che all’essere attraversati dalla luce solare colorava le pareti della stanza.
Originariamente la stanza si affacciava su Granada e la valle del Darro e permetteva un perfetto riposo ma in epoca cristiana fu costruito un padiglione da Carlo V che coprì la vista ma fu creato un giardino detto el Jardin de Lindaraja.
Seguono alcune pertinenze che furono utilizzate dai re Cattolici che si innamorarono della bellezza dei Palazzi Nasrid e ne fecero la loro sede nelle visite a Granada. Vicino si trovano anche i Bagni Reali del Palacio de Comares che hanno sempre avuto un importante funzione e significato nella vita araba. Il bagno è per un arabo un obbligo religioso, perché il Corano li obbliga alla pulizia corporale per la pulizia spirituale.
I Bagni arabi sono generalmente una copia più piccola dei bagni romani normalmente hanno quattro vani: uno spogliatoio, una sala di acqua fredda per le abluzioni, il “tepidarium” sala tiepida e dei vapori e i “calidarium” bagno caldo a immersione. Questi bagni erano presenti in tutti i palazzi ma furono proibiti in epoca cristiana che lo consideravano pratica religiosa musulmana e perciò si salvarono solo quelli del Palacio de Comares perché vennero utilizzati da Carlo V.
Carlo V si fece costruire anche un Palazzo Reale Nuovo vicino a quello dei Nasrid in stile rinascimentale dall’architetto Pedro Machuca, che era stato allievo in Italia di Michelangelo.
Il palazzo fu interamente finanziato con le tasse che i Mori pagavano per il diritto a continuare con la propria religione e tradizioni. La facciata ricorda i frontoni dei sepolcri dei Medici a San Lorenzo, opera di Michelangelo, all’interno troviamo un enorme patio circolare con una doppia galleria in stile romano.
Ad ultimare l’Alhambra si trovava il Generalife, un palazzo e giardino di svago utilizzato per l’isolamento e il riposo che si estendeva verso la montagna. Aveva anche una funzione agricola e di orticultura, di allevamento e di riserva di caccia.
Oggi conserva i giardini più belli dell’Alhambra con labirinti, pergolati, roseti e giochi d’acqua.
Dall’alto del Generalife si può ammirare tutta l’Alhambra e Granada.
E come descriveva Washington Irving è come vivere “ nel mezzo di un racconto Arabo, e serrare i miei occhi, quanto più possibile, da tutto quello che mi può riportare alla vita di tutti i giorni; e se c’è un qualsiasi paese in Europa dove uno può farlo, è nella povera, selvaggia, leggendaria, orgogliosa e romantica Spagna, dove il vecchio e magnifico spirito barbarico continua a lottare contro l’utilitarismo della civiltà moderna”.
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