Per più di 500 anni l’Inghilterra è stato un paese amante e dedito al ritratto.
Non per casualità, è uno dei pochi paesi che ha dedicato un intero museo al genere della ritrattistica il National Portrait Gallery e ha anche una Royal Society of Portrait Painters.
Iniziando da Hans Holbein che diede ai ritratti di Enrico VIII un potere imperiale o ai fiamminghi come Van Dyck che diede a Carlo I un’aurea quasi divina; passando per Lely, Dobson, Hogarth, Reynolds, Gainsborough e Lawrence.
La ritrattistica ha permesso ai pittori di esprimere i propri interessi sulla condizione umana.
Questo è parte di una lunga tradizione che ha avuto uno dei suoi apici con gli introspettivi ritratti di Rembrandt.
Oggi vorrei analizzare proprio uno degli ultimi autoritratti di Rembrandt, conservato nella bellissima Kenwood House, un palazzo neoclassico immerso nel parco di Hampstead Heath, nel nord di Londra.
La collezione conservata all’interno di Kenwood House appartenne a Lord Iveagh, che non dirà molto per il suo titolo ma di più per il suo cognome in quanto era Edward Cecil Guinness, uno dei membri della famiglia della celebre birra irlandese. Edward Cecil Guinness è ricordato per la sua opera filantropica.
Infatti salvò Kenwood House da una vendita a speculatori nel 1924 e la donò nel 1927 alla nazione arricchendone l’interno con una ricca collezione di quadri di artisti fiamminghi tra cui Rembrandt, Van Dyck, Hals, Vermeer e di pittori inglesi Reynolds, Gainsborough, Romney e Constable.
Nella rossa Dining Room (sala da pranzo) sono esposti le collezioni fiamminghe e questa sala unica al mondo vanta la presenza congiunta nello stesso ambiente di un Vermeer Suonatrice di chitarra (the guitar player) e dell’Autoritratto con due cerchi (Self-portrait with two circles) di Rembrandt.
Guinness acquistò l’autoritratto di Rembrandt nel 1888 dal mercante d’arte Thomas Agnew per £27,500 insieme ad un altro quadro considerato all’epoca di Rembrandt, ma oggi attribuito al suo allievo Ferdinand Bol.
Rembrandt è uno degli artisti più celebrati della storia, in 40 anni di carriera ha dipinto 80 autoritratti più di tutti i suoi contemporanei o predecessori, divisi in 40 dipinti, 31 acqueforti e 7 disegni, questi ritratti testimoniano i suoi cambiamenti fisiognomici durante 4 decadi.
Questo è uno dei suoi ultimi autoritratti iniziato nel 1665 all’età di 59 anni e tra tutti gli autoritratti di Rembrandt, è celebrato per le sue brillanti capacità tecniche e la sua rude onestà, offrendo una delle più distintive e caratteristiche raffigurazioni dell’artista.
Gli autoritratti di Rembrandt possono essere divisi in tre categorie: giovanili, mezz’età e maturità.
Le opere giovanili sono focalizzate più sul suo aspetto fisico e l’esteriorità, quelle di mezz’età lo vedono come pittore affermato e confidente che si rifà ai ritratti dei grandi pittori italiani come Tiziano e Raffaello e quelle della maturità più introspettivi, contemplativi e penetranti.
Questo “Autoritratto con due cerchi” lo mostra come un pittore nel suo studio ma non intento a dipingere davanti al suo cavalletto, bensì di fronte allo spettatore con una mano in tasca e l’altra con gli strumenti del pittore.
Rembrandt è vestito con abiti da lavoro e con un tabarro bordato da pelliccia, tradizionalmente indossato dai pittori fin dal XVI secolo, e con in testa un semplice cappello di lino.
Gli abiti sono umili da lavoro, non in costume come i suoi primi autoritratti, ma dipinti con grande dignità e grandezza.
Nascosta tra la camicia bianca si intravede una catena d’oro che sottolinea una onorificenza pubblica.
Nella sua mano sinistra tiene gli strumenti del suo mestiere: la tavolozza di legno, i pennelli, e un lungo mahlstick. Mahlstick deriva dall’olandese maalstok “bastone da pittore” un bastone con una pelle morbida o una testa imbottita usato dai pittori per sostenere la mano che tiene il pennello.
Sulla destra si può vedere il bordo di una tela sulla quale sta lavorando.
Nel ritratto si evidenziano aree dettagliate e finite e altre appena abbozzate.
Un dibattito aperto sussiste tra gli studiosi se questo autoritratto con due cerchi sia un’opera finita o no.
Una cosa che sempre mi colpì guardando dal vivo il ritratto sono le mani, così importanti per un pittore e centrali nell’opera, appena abbozzate e il cappello di lino segnato da pennellate dense materiche, che anticipano di secoli lo stile usato dagli impressionisti.
Questo tema del non finito, specialmente nelle opere tardive di Rembrandt, è stato dibattuto per secoli. Oggigiorno molti ammirano l’audace stile pittorico e materico ma quando Joshua Reynolds vide il quadro nel 1781 lo descrisse come: “uno stile non finito, ma ammirabile per i suoi colori e effetti: la tavolozza, i pennelli e il mahlstick sono nella sua mano, se così si può chiamare; perché è appena accennata, che difficilmente si capirebbe che è una mano”.
Il viso, al contrario, è molto curato denso di dettagliate pennellate che si muovono tra aree di luce e di ombra. Si vedono i diversi colori usati rosa, gialli, arancioni, bianchi, grigi che accentuano le rughe e le espressioni del volto di un uomo segnato dalla sua esperienza di vita.
Rembrandt ci spinge a vedere quest’immagine della sua biografia.
Il suo sguardo è diretto, intenso, fisso e con una nota di tristezza e malinconia.
Rembrandt era un attento osservatore delle espressioni umane ma anche un profondo conoscitore empatico della condizione umana.
Questo ritratto lo raffigura prode e orgoglioso artista nonostante avesse perso tutto per bancarotta, la sua adorata moglie era morta e lui viveva grazie agli aiuti del figlio Tito.
Il dipinto non è stato né firmato né datato, il che è insolito per i ritratti di Rembrandt.
Alcuni studiosi sostengono che non avesse più la necessità di autografare la sua opera, dal momento che era una celebrità nel suo tempo, conosciuto come nostrae aetatis miraculum e la sua faccia era riconoscibile a molti. Alcuni storici dell’arte si sono addirittura spinti a sostenere che dagli anni 60 del 1600, Rembrandt sentiva che il suo stile distintivo di dipingere era esso stesso una firma.
Il ritratto può aver preso ispirazione dall’autoritratto di Tiziano conservato nella Gemäldegalerie di Berlino.
Il dipinto di Tiziano fu riprodotto in un’incisione del 1550, ed essendo Rembrandt un collezionista di stampe potrebbe averne avuto una copia.
I due autoritratti sono simili nella composizione, colore e tecnica. Seguendo l’esempio di Tiziano, Rembrandt sperava di creare una simile iconica e pubblica immagine per la posterità.
Qui Rembrandt sembra confidente del suo lascito come pittore, trionfando contro l’avversità.
Questo non è un ritratto di un uomo distrutto che guarda con sguardo vulnerabile ad uno specchio.
Qui si rappresenta come un forte pittore che stabilisce una duratura immagine di sé stesso, una che ci guarda direttamente, attraverso i secoli.
Questo autoritratto presenta un altro mistero rappresentato dai due cerchi sullo sfondo, da cui l‘opera trae il suo nome e fama, che hanno affascinato e perplesso i visitatori e gli studiosi per generazioni.
Una delle teorie spiega che sono simboli mistici rappresentanti la perfezione di Dio, un’altra teoria li vede come simbolo della Teoria e della Pratica con Rembrandt medesimo come l’unione del pensiero e dell’esecuzione, trasformandolo nel ingenium, la personificazione del talento.
Un’altra teoria li vede come due emisferi di una mappa terrestre, una mappa che rappresenta l’emisfero est e ovest come due globi. Le mappe erano normalmente presenti nelle case olandesi come risultano anche nei dipinti di Vermeer. La mappa mondiale in questo ritratto è stata vista come l’universalità di Rembrandt come pittore del mondo visibile. Altri hanno suggerito che i cerchi rappresentano il paradosso delle ruote di Aristotele e altri hanno ravvisato segni cabalistici.
La teoria, però, più popolare si focalizza nella storia di Giotto, che secondo la famosa leggenda provò la sua capacità artistica disegnando a mano libera un cerchio perfetto. Benché, Rembrandt dipinse due cerchi incompleti invece di uno perfetto, gli studiosi hanno suggerito che era per associarsi al genio di Giotto, utilizzando il suo distintivo e virtuoso stile.
Gli autoritratti di Rembrandt, benché rivelino molto dell’artista, il suo sviluppo, la sua persona, erano anche utilizzati dall’artista per studiare prototipi facciali (tronie) con diverse espressioni, emozioni, costumi per i suoi quadri storici ma anche per promuoversi come artista nel ricco e competitivo mercato dell’arte di Amsterdam.
La sua complessa personalità e questi ritratti introspettivi, specialmente quelli dell’età matura nei quali non nasconde la sua pena e la sua vulnerabilità, colpiscono moltissimo la sensibilità dello spettatore.
Gli autoritratti di Rembrandt ci fanno pensare al detto “quello che è più personale è più universale” per il fatto che continuano fortemente a parlare agli osservatori nell’arco di secoli, ci insegnano il modo in cui compenetrarsi nei ritratti ed allo stesso modo a guardare diversamente a noi stessi.
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