Andrea Palladio nel febbraio del 1580 iniziò una delle sue opere più virtuose per la complessità tecnica e per l’affascinante bellezza: la costruzione del Teatro Olimpico di Vicenza.
Il progetto era ambizioso perché si trattava del primo teatro coperto al mondo e di concezione classica romana. Palladio purtroppo morirà pochi mesi dopo l’inizio dei lavori, il 19 agosto del 1580, lasciando l’opera ai soli muri perimetrali. In questa sua ultima opera, Andrea Palladio sembra lasciare un testamento spirituale che si può ritrovare nei disegni e nei modelli lasciati all’Accademia Olimpica, committente dell’opera.
L’Accademia Olimpica venne istituita a Vicenza nel 1555 in omaggio ai giochi panellenici della città di Olimpia e sin dall’inizio l’accademia si era distinta per una visione aperta e democratica e tra i 21 membri fondatori compare anche il nome di Andrea Palladio, nonostante non fosse di nobili origini.
Tra gli interessi degli accademici compaiono in primis alcune discipline scientifiche: fisica, matematica, astronomia, anatomia, alle quali si aggiunge però un interesse per l’attività teatrale classica. Negli anni 60 del 500 organizzarono la rappresentazione di due tragedie moderne L’Amor Costante di Alessandro Piccolomini e Sofonisba di Giangiorgio Trissino, con le scenografie in legno realizzate da Palladio e collocate nell’unico spazio coperto della città di Vicenza nel Palazzo della Ragione. Vicenza non aveva un teatro coperto e così gli accademici si ingegnarono per trovarne una soluzione.
Il loro motto è HOC OPUS HIC LABOR EST (Questa è l’opera questo è il grande lavoro tratto dall’Eneide di Virgilio nel significato che nessuna impresa si compie senza un grande impegno).
Per comprendere meglio le necessità degli accademici bisogna analizzare lo sviluppo teatrale dall’antichità classica al Rinascimento.
Nel periodo greco-romano, il teatro aveva un suo spazio ben definito a cielo aperto con separazione dello spazio degli spettatori da quello degli attori. In epoca romana, la facciata della scena viene innalzata a numerosi piani e decorata, fino a diventare frons scenae, proscenio (come si può vedere nel superstite teatro di Sabratha in Libia).
L'uso della scena diventa più complesso per l'uso di macchinari teatrali.
Compare il sipario, che durante la rappresentazione si abbassa in un apposito incavo, mentre il velario, di derivazione navale, viene utilizzato per riparare gli spettatori dal sole.
Tutto cambia in epoca medioevale dove le commedie di Plauto e Terenzio vengono giudicate troppo licenziose per ragioni religiose e il teatro classico decade nelle sue opere e strutture. Si crea un altro teatro quello religioso con messa in scena di scene religiose o sacre rappresentazioni ma senza un luogo preciso, si passa alle strade con grande partecipazione del popolo che si sofferma in diverse tappe (come si può vedere nella Passione di Hans Memling o la Sacra rappresentazione di Valenciennes).
Con l’arrivo del Rinascimento e il ritorno degli studi degli antichi tutto cambia.
A Firenze, Filippo Brunelleschi costruì macchine teatrali straordinarie per diverse feste religiose, il pubblico torna a essere fermo quello che si muove è l’attore (es. l’Annunciazione di San Felice in Piazza) in un unico asse prospettico.
Le rappresentazioni teatrali, di impianto classico, erano generalmente tenute all'aperto, spesso nei cortili dei palazzi nobiliari i cui proprietari erano proprio i principali fruitori in strutture effimere create con asse prospettico come quelle progettate da Raffaello e Peruzzi.
Questa idea viene sistemata da un allevio del Peruzzi, Sebastiano Serlio, che regolò le tre scene prospettiche secondo le tre scene di derivazione classica: scena tragica nella città che racconta i fatti dei grandi e potenti, la scena comica che avviene nella zona popolare e la terza la scena satiresca che avviene nei boschi. Queste tre scene tipiche nel teatro romano, vennero riprese dagli architetti rinascimentali dal De architettura di Vitruvio, l’unico testo romano antico di architettura che sopravvisse al medioevo e arrivò al Rinascimento.
Nel libro VI Vitruvio scrisse: “La conformazione del teatro deve farsi così che, quanto grande sarà per essere il perimetro sul terreno, se ne stabilisca il centro, e si conduca una circonferenza; nella quale si inscrivano quattro triangoli equilateri che toccheranno coi vertici la circonferenza stessa a distanze eguali… Si consideri quello dei triangoli il cui lato sarà più vicino e parallelo alla scena: là dove esso lato tocca la circonferenza, quivi sia il limite del fronte della scena. Si tiri poi una parallela a questo lato attraverso il centro della circonferenza; questa linea separerà il pulpitum del proscenio e la regione dell’orchestra”.
Uno dei problemi dell’opera di Vitruvio è che molte versioni medioevali non avevano riprodotto le sue illustrazioni, cosicché molti architetti rinascimentali si cimentarono nell’impresa di ricostruirle ma molte non erano per niente accurate.
Palladio nelle sue ricerche e studi di monumenti romani è uno dei pochi che si avvicinò di più alle descrizioni di Vitruvio, ma ci vollero una quarantina d’anni prima che potesse passare da i suoi progetti cartacei ad un’opera concreta come il Teatro Olimpico.
In quest’opera Palladio si confronterà con il vero problema del teatro: la relazione degli attori e degli spettatori a livello architettonico, trovando una soluzione organica e unitaria anche se la progettazione risulterà ormai anacronistica.
Gli accademici dell’Accademia Olimpica individuarono uno spazio coperto dentro le antiche carceri comunali “dentro la corte delle prigion vecchie” e l’area era circoscritta dalle mura dell’antico Castel San Pietro.
Gli spazi erano stretti e angusti non ideali per la costruzione di un teatro classico ma Palladio trovò la soluzione: al tradizionale schema geometrico impostato su una circonferenza secondo i dettami di Vitruvio, Palladio sostituì con una pianta ellittica.
La forma è ellittica per esigenza degli spazi ma è efficace sul piano architettonico e scenico perché avvicina gli spettatori alla scena creando una forte empatia tra chi guarda e chi attua sul palco.
La cavea, ossia la gradinata che accoglie il pubblico appare ad un occhio esperto un po' schiacciata ma questo modo l’architetto ridusse i costi agli accademici sfruttando le murature preesistenti concesse in uso dal Comune. Quest’area però risulta ampliata dal colonnato in stile corinzio che lo circonda che richiama stilisticamente il Tempio di Giove Tonante e i bagni di Diocleziano a Roma.
Tra le colonne si alternano nicchie ad arco e quadrate dove sono inserite delle statue come anche nella balaustra soprastante, tutte realizzate in mattone, stucco e polvere di marmo per fingere la pietra.
Tutte le statue di cui è gremita la scena sembrano condottieri romani ma nei loro volti si possono riconoscere le fattezze dei fondatori dell’Academia, che come sponsor del teatro pagarono 10 ducati per avere una loro statua vestiti da antichi romani sulla scena.
Il personaggio che domina il poggio della cavea è Leonardo Valmarana, fu il presidente dell’Accademia Olimpica tra il 1583-1585 nella fase finale dei lavori il suo sguardo serio e imperioso ci ricorda il suo forte carisma non a caso si fece ritrarre con la fisionomia del più importante sovrano dell’epoca Carlo V D’Asburgo.
Di fronte a lui si vede l’arco trionfale della porta regia dove si concentra l’attenzione dello spettatore sul fronte scena, il proscenio dove possiamo vedere questa stupenda struttura architettonica che richiama il Settizonio (che gli umanisti sempre considerarono essere connesso con il teatro).
Questo è diviso in tre registri: dal basso fino all’attico gli elementi scorrono in perfetta armonia ritmi plastici tra pieni e vuoti nella parte bassa; vibrazioni luminose tra cornici di tabernacoli nicchie e formelle nei registri più alti. Nei bassorilievi dell’attico
Ercole è il protagonista raffigurato in alcune delle sue famose fatiche (Ercole e Anteo, Ercole e Deianira, Ercole e il leone Nemeo, Ercole e i Centauri, Ercole e Caco) veglia sugli accademici che hanno voluto celebrare l’eroe mitico fondatore dei giochi olimpici.
Il Proscenio architettonico risulta come un altro muro in questo spazio richiuso ma il risultato è la creazione di una nuova forma tra classicismo e rinascimento: una stretta composizione architettonica con i suoi valori formali che abbraccia gli elementi illusionistici della scenografia teatrale.
Come detto in precedenza Palladio morì a cantiere aperto e furono il figlio Silla e il suo allievo Vincenzo Scamozzi a completarlo nel 1585.
Scamozzi disegnò la scenografia per l’opera che doveva inaugurare il teatro, l’Edipo Re di Sofocle.
La scenografia doveva evocare la città di Tebe con le sue sette vie e i caseggiati dov’era ambientata la tragedia di Sofocle ma di fatto ci ricorda molto anche la Vicenza rinascimentale. Fu pensata come sfondo provvisorio in occasione della cerimonia inaugurale ma è giunta inalterata fino ai nostri giorni.
Scamozzi progettò un capolavoro di illusione prospettica dando il senso di lunghe vie e edifici lussuosi. In realtà tutto era composto da elementi semplici e poveri come il legno, stucco, affresco e stoffe.
Scamozzi gioca con le illusioni prospettiche perché le strade, gli edifici e le sculture diminuiscono prospetticamente ma allo spettatore sembrano delle stesse dimensioni, tutto rafforzato anche dai giochi di luci delle candele sulla scena.
La cosa più sorprendente dell’Olimpico è che è uno dei posti più belli al mondo ma un completo fallimento a livello teatrale. Il teatro di Palladio è allo stesso tempo la realizzazione di un sogno di generazioni di architetti e intellettuali rinascimentali di far rinascere il teatro degli antichi ma allo stesso tempo tutto ciò avviene troppo tardi. Il melodramma seicentesco chiede cambi di scena chiede coinvolgimento di spettatori, macchine che calino dal soffitto, macchine che salgono dal palcoscenico e non può essere strutturato all’interno delle tre porte romane.
Per questo il teatro Olimpico verrà utilizzato solo una sola volta nel 1585 poi per due secoli non sarà più utilizzato come teatro.
Lo studio Palladiano dell’antichità romana era l’equivalente architettonico degli studi degli umanisti nel campo della letteratura antica. Palladio era prima di tutto alla ricerca di un vocabolario formale ma anche di una esegesi dell’evoluzione storiche delle forme antiche.
Per tutta la sua vita Palladio costruì palazzi contemporanei non era mai stato un archeologo, egli utilizzava il linguaggio dell’architettura romana per costruire edifici del suo tempo che rispondevano a necessità del suo tempo, la villa Palladiana è completamente diversa dalle ville romane.
Solo una volta volle fare l’archeologo e nel teatro Olimpico costruì il teatro romano di Vitruvio in questo senso si può dire che è il suo testamento ed è la prima volta che costruì qualcosa come se lui fosse Vitruvio
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