Uno dei temi attuali di questi giorni è il revisionismo storico in seguito alle manifestazioni del movimento Black Lives Matter iniziato negli Stati Uniti e diffusosi in tutto il mondo.
L’accanimento iconoclasta che sta avvenendo contro monumenti, statue, nomi di vie e piazze delle città, nel tentativo dannoso di cancellare o rettificare la storia con una lettura strettamente contemporanea, personalmente lo trovo un grosso errore di interpretazione.
La storia è fatta di eventi succedutisi in determinate condizioni storiche, politiche, sociali ed economiche ed è per questo importante non cancellare la storia e ciò che la rappresenta, ma preservarla e studiarla a fondo. Solo dalla conoscenza e dal rispetto può nascere un dialogo che può integrare le diverse civiltà.
Nel Regno Unito, e non solo, da diversi anni si è sviluppato un filone storico che io definirei “neutralizzazione della storia” nel tentativo di accontentare e non offendere tutte le parti coinvolte in un determinato evento, si epurano o si distorcono avvenimenti e fatti. Questo è evidente quando si deve affrontare il passato colonialista dell’Impero Britannico che ha creato la ricchezza, la globalizzazione e la multietnicità del paese ma che rimane un tema tabù come anche intoccabile è il luogo dove vengono conservati i tesori e i reperti artistici sottratti ad altre civiltà conosciuto in tutto il mondo come il British Museum.
Proprio dal British Museum voglio partire presentando una delle collezioni più belle dell’arte africana: i Bronzi del Benin. In realtà il nome “bronzi del Benin” è solo un etichetta che racchiude le migliaia di placche e sculture che decoravano il palazzo reale del Benin, oggigiorno facente parte della Nigeria.
Il regno del Benin fiorì tra il XIII e il XIX secolo e la sua cultura per molto tempo è stata il centro dell’attenzione Europea per la sofisticata tecnica nella statuaria data dalla fusione a cera persa realizzata da artigiani specializzati per la casa reale, e utilizzati per funzioni di corte e religiose.
Gli artigiani facevano parte di una gilda e i materiali forniti ad essa passavano direttamente dal controllo reale che monopolizzava materiali come avorio, rame e corallo perché solo determinate persone di diversi ranghi potevano indossare o avere oggetti prodotti con questi materiali.
Quando nel 1806 terminò la tratta di schiavi, gli inglesi svilupparono il monopolio del commercio in Nigeria ad eccezione del Regno del Benin, rimasto indipendente e che commerciava sotto il controllo del proprio Re, chiamato Oba. Nel 1897 una spedizione capitanata dal viceconsole Phillips decise di dirigersi verso la capitale del Benin per modificare gli accordi commerciali, nonostante fossero stati avvisati che l’Oba non poteva attenderli perché erano in corso rituali non accessibili a stranieri. Il console disattese l’avvertimento e si recò con una delegazione, tutti furono massacrati eccetto due. Gli inglesi reagirono con quella che viene definita la Spedizione Punitiva Britannica con la destituzione del Re Oba e la distruzione della città.
Più di 4000 oggetti tra placche e sculture in metallo, avorio, corallo e legno che decoravano il palazzo reale furono prese dagli inglesi e vendute dal governo per ripagare i costi della spedizione.
Non sorprende che il British Museum con 700 oggetti sia quello che ne conservi di più al mondo ma la collezione è divisa in diversi musei in Inghilterra come l’Horniman’s Museum, Pitt Rivers Museum a Oxford e nel mondo divisi tra Germania (Berlino, Amburgo, Dresda), Austria, Olanda, Stati Uniti (il Metropolitan Museum, Boston, Filadelfia, Dallas, San Francisco), musei e collezioni private.
Le placche che decoravano il palazzo reale erano dei basso rilievi naturalistici e plastici che raffiguravano gli Oba, nobili dignitari e soldati e indicavano la loro funzione a corte, presentando la ricchezza del regno e la sua forza militare. Le teste di avorio e di bronzo dei re o delle regine erano sistemate su altari dedicati agli antenati, questi anche se presentano un grande naturalismo non sono dei ritratti dal vivo ma delle tipologie di ritratto.
Quando queste sculture giunsero nella Londra vittoriana provocarono molto scalpore e fascinazione in quanto non credevano che delle popolazione da loro considerate selvagge potessero produrre oggetti così preziosi perché rimaneva il pregiudizio razzista coloniale che popolazioni africane non avessero storia, cultura e che fossero incapaci di generare arte.
In realtà questo non fu il primo incontro del Benin con popolazioni bianche europee, da secoli il paese aveva contatti molto stretti con il Portogallo. I Portoghesi non si presentarono mai come conquistatori ma come commercianti e subito capirono che il Benin era una civiltà potente e sofisticata in grado di creare grandi opere d’arte. Il legame di rispetto era così forte che portoghesi servivano come mercenari nell’esercito del Benin e alcuni erano presenti come membri della corte del Benin e i figli del re Oba apprendevano il portoghese.
Dal XVI secolo il Benin commerciava pepe, gomma, stoffe, avorio e schiavi con i portoghesi in cambio di ottone, piombo, ferro, corallo, conchiglie cipree (utilizzate come moneta), armi da fuoco, liquori e beni di lusso.
Il contatto e le influenze delle due culture si mostra soprattutto negli oggetti d’arte.
Uno degli esemplari più belli conservato nel British Museum è la testa in avorio della Regina Madre Ida, madre dell’Oba Esigie (c.1504-1550), celebrato come uno dei grandi re-guerrieri.
La maschera è un ritratto idealizzato con segni di scarificazione sulla fronte, indossa un raffinato collare ma quello che attira sicuramente di più è la decorazione della sua tiara composta da uomini con lunghe barbe rappresentanti i portoghesi. Nella cultura del Benin, l’avorio è collegato con il colore bianco, simbolo di purezza che è associato con Olokun, dio del mare. I portoghesi giungendo dal mare erano considerati ambasciatori del dio Olokun e portavano benessere e ricchezza all’Oba.
L’avorio era uno dei beni principali del Benin che attraeva specialmente i portoghesi.
La decorazione ad avorio era un’esclusiva della corte reale in quanto arte che comunicava l’autorità dell’Oba ed egli concesse il permesso di decorare saliere, corni, cucchiaini, forchette specificamente per il mercato portoghese.
Questi oggetti di lusso sono probabilmente i primi esempi di oggetti provenienti dall’Africa e realizzati esclusivamente come souvenir per gli stranieri.
Le saliere mostrano chiaramente l’unione delle due culture africana ed europea e sono presenti solo in quindici nelle collezioni museali. Il sale era un bene caro in quel periodo e veniva presentato nelle case dei nobili in ricche saliere d’avorio, un materiale raro ed esotico di grande valore che dimostrava lo status, il benessere e il successo del proprietario.
Solitamente quelle provenienti dal Benin hanno forme sferiche con apertura al centro inconsueta in Europa. Tutti gli esempi presentano figure portoghesi caratterizzate da lunghe barbe e nasi aquilini probabilmente visti dal vivo o tramite disegni e modelli dati direttamente dai portoghesi.
Una saliera molto interessante conservata nel British Museum raffigura quattro portoghesi con lunghe barbe, croci, spade e armature e in cima alla saliera si vede un veliero con un giovane marinaio che si affaccia dalla coffa.
Tutti questi oggetti giungevano a Lisbona una città all’epoca veramente cosmopolita.
Un quadro molto interessante conservato nel Pálacio da Bacalhôa intitolato la Fontana del Re (Chafariz D’El Rey) dipinto da un anonimo pittore fiammingo del XVI secolo rappresenta il quartiere antico di Alfama, parola di origine araba che significa fontana calda o bagni.
Nel quadro il 30% della popolazione è di origine africana, Lisbona nell’epoca Rinascimentale era abitata dal 20% di africani. Molti film e libri che trattano questo periodo storico raramente parlano della popolazione africana presente e se ne parlano li ritraggono solo come schiavi. Questo dipinto mostra completamente un’altra realtà dove bianchi e neri di diverse estrazioni sociali coesistono pacificamente in Lisbona.
Nel quadro si possono vedere africani di varie estrazioni sociali: gli aguaderas, ballerini, mercanti, barcaioli, guardie, ladri, schiavi ma anche in primo piano un nobile a cavallo João de SáPanasco (1524 – 1567). Quest’ultimo fu nominato dal re, per la sua vittoriosa campagna militare contro i turchi, cavaliere del prestigioso ordine di Santiago come si può vedere dalla croce del suo mantello. Davanti a lui si possono vedere due altri africani di nobili origini come si può dedurre dagli abiti indossati e dalla presenza di spade che simboleggia che erano di alto rango nella società.
Nel quadro si può vedere non solo l’integrazione di bianchi e neri ma anche di uomini e donne e di persone di diverse età come bambini bianchi e neri che giocano insieme nella piazza.
L’idea ricorrente che gli africani siano stati solo schiavi in questo periodo è riduttiva, è una storia nascosta che molti non vogliono raccontare, infatti erano viaggiatori ed esploratori che decisero di risiedere in alcuni dei paesi europei diventandone anche cittadini ufficiali.
I bronzi del Benin pregevoli per la loro fattura artistica mostrano come l’arte è stata un’unione di diverse civiltà.
Questi oggetti possono oggigiorno mostrare ancora questa unione con un progetto nuovo di integrazione culturale realizzato dal the Benin Dialogue Group. Il piano prevede la costruzione di un museo in Nigeria in collaborazione con i musei Europei per facilitare una esposizione permanente dei bronzi del Benin che avverrebbe con prestiti a rotazione dai presenti musei.
Il museo mostrerà la ricchezza storica e culturale del Regno del Benin dalle prime evidenze archeologiche fino alle espressioni dell’arte contemporanea, nel riconoscimento del fatto che la città di Benin continua ad essere un vibrante centro artistico. Il museo avrà il compito di luogo del ricordo, di educazione e di ispirazione per le popolazioni del Regno del Benin e per le popolazioni di tutto il mondo.
Il progetto auspica in futuro la restituzione delle opere al paese di appartenenza dopo la sottrazione inglese del 1897 che ne ha portato una diaspora in diversi musei in tutto il mondo.
La restituzione rimane un tema molto dibattuto in ambito museale sulla migliore conservazione delle opere d’arte ma la possibilità di vedere le opere nel loro ambiente naturale e culturale integrandone l’identità sociale di un’intera comunità sarebbe qualcosa da prendere seriamente in considerazione.
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