Palazzo Reale - Milano 11 Ottobre 2023 - 25 Febbraio 2024
Palazzo Reale di Milano ospita nelle sue sale una mostra con 41 opere dedicata a uno degli artisti più rivoluzionari e visionari del XVI e XVII secolo: Doménikos Theotokòpoulos, detto El Greco.
Pittore che nella storia dell’arte ha avuto alterne fortune fino al riscoprimento e rivalutazione nel secolo scorso.
El Greco è il rappresentante di tre mondi diversi, che egli mescolerà tutti insieme: il greco, il veneziano-romano, e il Toledano spagnolo.
Vissuto nel periodo della Controriforma, che porterà nei soggetti una grande fiamma di misticismo, El greco, essendo un uomo di grande devozione e di immaginazione, diventerà un grande protagonista di questo periodo dando espressione alla devozione spirituale dei suoi contemporanei.
Nella prima parte della mostra sono esposte icone e i suoi lavori cretesi. Infatti Doménikos nacque nel 1541 a Candia, l’odierna Eraclio, centro di incontro tra la civiltà orientale e occidentale, allora sotto il dominio della Serenissima Repubblica di Venezia.
La pittura cretese era caratterizzata dalle icone greco-bizantine, che sono immagini piatte, frontali, staccate dal contesto realistico, senza volume spesso su fondo oro.
Doménikos, già pittore affermato, decise di continuare la sua formazione trasferendosi a Venezia, dove vivevano già quattromila greci, tra i quali parecchi artisti riuniti in proprie corporazioni.
Venezia, patria della pittura tonale, dove era ancora vivo Tiziano, che gestiva una scuola con tantissimi allievi, dove forse entrerà El Greco. E’ possibile che lui sia quel “valente giovine discepolo” di cui parla Tiziano in una lettera a Filippo II di Spagna il 2 dicembre 1567.
Doménikos è una persona estremamente colta. Conosce il greco antico, il latino e l’italiano, ha una preparazione umanistica, e una fede di “frontiera” con elementi ortodossi e cattolici.
Nei suoi tre anni a Venezia, mutua in modo ecclettico e in assoluta libertà ciò che più lo attira dei grandi maestri veneziani.
Da Tiziano assorbe la tecnica della “macchia”, della pennellata abbozzata nell’applicazione del colore, le forme slanciate e dinamiche, riprendendone i motivi iconografici e i suoi splendidi ritratti; ai Bassano deve le luci crepuscolari naturali ed artificiali e l’interesse per gli effetti notturni; da Tintoretto le qualità drammatiche ed espressive del colore, il chiaroscuro, l’inquietudine spirituale e il senso tragico della storia.
A Venezia crea una decina di opere di piccolo formato e a tema devozionale.
Spicca nella mostra il Trittico di Modena, dove tutte le scene rimandano ai temi della Salvezza: sul fronte L’Adorazione dei pastori, L’Allegoria del cavaliere cristiano (Giudizio Universale) e il Battesimo di Cristo e sul retro l’Annunciazione, la Veduta del Monte Sinai ed Adamo ed Eva.
L’opera nel suo insieme ha una complessità culturale e dottrinale con ispirazione alle incisioni di Tiziano, Parmigianino e alle stampe tedesche con le quali il Greco creò una sintesi estremamente personale del nuovo linguaggio pittorico e figurativo.
Nelle altre piccole opere del periodo veneziano si possono notare le influenze latine ovvero della pittura italiana, con la prospettiva centrale brunelleschiana, le tonalità venete e l’ambientazione scenografica che non esistevano nella pittura greca.
Nella mostra una sezione è dedicata ai dialoghi con l’Italia. È esibita l'Ultima Cena di Tintoretto, non delle consuete dimensioni delle sue opere, presenta una componente teatrale nei personaggi, nella gestualità e nell’uso delle luci. Da notare il seggiolino su cui Giuda è seduto precariamente perché verrà ripreso da El Greco nella sua Ultima Cena. L’opera è molto più piccola rispetto a quella del Tintoretto ma presenta lo stesso uso dello sgabello usato da Giuda, simile è anche la decorazione del pavimento e l’atteggiamento e posizione di alcune delle figure.
El Greco visitò anche Padova, Verona e Mantova dove contemplò le capacità pittoriche di Giulio Romano.
A Parma, città dei Farnese, elogia il Parmigianino e il Correggio, il quale viene considerato dal El Greco superiore a tutti i pittori fiorentini.
Poi scese a Roma per una crescita personale ma soprattutto professionale. Forse fu introdotto nell’ambiente romano da Guido Clovio, capitano della Serenissima e nipote di Giulio Clovio uomo di fiducia del cardinale Alessandro Farnese.
Entra dunque in un mondo colto, frequenta ricche collezioni d’arte del cardinale, e il circolo del suo dotto bibliotecario e segretario Fulvio Orsini, per cui dipingerà sette opere.
A Roma entra in contatto con la classicità, le antichità, le sculture e le opere di Michelangelo, da poco morto, del quale apprezzava il chiasmo dei corpi e il loro trattamento anatomico, ma anche opere di Raffaello, di Zuccari e di Sebastiano del Piombo.
Nel suo soggiorno romano realizzerà un certo numero di opere, temi della Controriforma, ritratti, figure di genere. Tra questi dipinti c’è anche la Cacciata dei mercanti dal tempio, un soggetto della controriforma allusivo alla purificazione della Chiesa cattolica e alla sua lotta contro l’eresia protestante. El Greco ne fornisce sei versioni due del periodo italiano e quattro del periodo spagnolo.
In mostra è presente una delle ultime versioni dove si riscontrano figure allungate e nudi michelangioleschi, sculture antiche. Nella cultura della Controriforma bisognava seguire delle norme e si ricercava di attuare una religiosità che toccasse direttamente il fedele con la retorica della persuasione inducendo i fedeli a una fede senza incrinature.
Scoppiata la peste a Roma, Doménikos decise di trasferirsi in Spagna allettato dalla possibilità di avere sbocchi di lavoro alla corte di Filippo II, nell’ambito del grande progetto del monastero di San Lorenzo dell’Escorial. A Madrid le reazioni sono fredde ma grazie a dei contatti con il decano della Cattedrale di Toledo si trasferirà a Toledo dove rimarrà per trentasei anni e dove riceverà l’appellativo di El Greco.
Toledo fu la prima città in Spagna in cui furono attuati i decreti della Controriforma nel 1563.
Destinatario di una committenza prevalentemente religiosa, El Greco svolse un’intensa attività come pittore di scene sacre.
A Toledo la sua arte esploderà in dipinti di grande formato, dalle forme allungate, con movimenti vertiginosi, colori acidi di grande bellezza, sempre più irreali e visionari, composizioni intensamente drammatiche, con un linguaggio originale che non avrebbe trovato proseliti ma avrebbe elevato la pittura spagnola a livello internazionale, inaugurando quel “Siglo de Oro” che vedrà alla ribalta Velázquez, Ribera, Zurbarán e Murillo.
Nelle sue prime opere toledane, El Greco risente ancora dell’influenza di Tiziano ma presto incominciò a dipingere quello che sentiva e ad interpretare il naturalismo spagnolo.
Mentre gli altri pittori spagnoli erano soddisfatti come Velázquez di portare la rappresentazione naturalistica al punto più alto della verità dell’apparenza, o come Murillo che adottò il motivo naturalistico per un’espressione del sentimento religioso, El Greco interpretò il naturalismo in relazione al suo ambiente spirituale. Lui fu un realistico che non solo dipinse l’anima dei fatti, ma rese visibile agli occhi la spiritualità.
Prendiamo come esempio il suo capolavoro Il Seppellimento del Conte di Orgaz della Chiesa di San Tomé a Toledo, nel quale il corteo è realistico e contemporaneo ma allo stesso tempo le figure di Cristo, della Madonna e dei Santi sono intenzionalmente allungate ed esagerate e le nuvole sembrano dei tendaggi che scivolano verso il basso. Questo è stato voluto con la funzione di rafforzare il significato spirituale, usa le forme come un simbolo di espressione spirituale e le forme diventano il mezzo per rendere visibile agli occhi la spiritualità. Il risultato dell’opera è un grande realismo basato sul naturalismo nel quale cresce il significato spirituale.
Nella mostra possiamo vedere queste caratteristiche nel bellissimo San Martino che divide il mantello con un mendicante, opera contrapposta a quella dello stesso soggetto di Jacopo Bassano. L’opera di grandi dimensioni mostra le tipiche caratteristiche del Greco: un realismo visibile nel cavallo e nell’armatura ma allo stesso tempo un allungamento deformante delle dimensioni del mendicante, un paesaggio sullo sfondo quasi astratto e tonalità di colori acidi che fanno ricordare di più le avanguardie del primo Novecento.
Nell’orazione nell’orto, El Greco, come nelle grandi pale d’altare di fine Cinquecento, distingue le due dimensioni quella terrena e quella celeste. La prima con gli Apostoli Giovanni, Giacomo e Pietro dormienti è resa con colori caldi e luminosi, la seconda in alto con Gesù e l’Angelo dalle tinte più fredde, Il tipo di luce notturna e artificiale, richiama quella veneta di Jacopo Bassano ma è più innaturale. La violenta fonte di luce che irrompe da sinistra imprime alla scena un forte sapore surreale che la presenza dell’angelo candido di luce rende addirittura metafisico.
La Sacra Famiglia con Sant’Anna è un bellissimo esempio nelle opere di El Greco del significato dei volti e della gestualità. Tutte le donne raffigurate da El Greco non guardano direttamente lo spettatore riprendendo i trattati della controriforma che indicavano agli artisti cosa dipingere e come dipingerlo per commuovere la fede dello spettatore. La fisicità e la gestualità diventano importanti: occhi verso il basso, colli piegati, mani del Bambino e della Madonna intrecciati, la tenerezza di Giuseppe che tiene in mano il piede del Bambino. Tutti questi gesti porteranno al linguaggio Barocco.
Nell’Annunciazione le figure allungate dell’Angelo e della Madonna seguono la verticalità della tela ma al centro dell’attenzione sono le mani dell’angelo incrociate in segno di devozione e quelle della Madonna alzate in segno di sorpresa e stupore. Tutto scintilla di luce e l’atmosfera sopraterrena investe completamente la rappresentazione, senza distinguere l’immaterialità dei cori degli angeli musicanti in alto da quella dell’annuncio in basso.
Il clima surreale si carica di note espressioniste, nei volti e nelle espressioni e gesti.
Altra opera di grosso impatto nella mostra è l’Espoliazione di Cristo, tema iconografico raro perché tratta della svestizione di Cristo ma che El Greco renderà celebre con diciassette versioni.
Insolitamente le mani di Cristo sono legate da una corda ma una tocca il suo petto e l’alta è in segno di benedizione mentre il suo sguardo è rivolto misticamente verso l’alto. La figura del Cristo è isolata dal crudo realismo della folla che concitatamente lo circonda. In quest’opera sono anche bilanciati perfettamente i colori acidi dal rosso della veste di Cristo, ai gialli, blu e verdi e dalla bellissima uniforme del soldato che riflette il rosso della tunica di Cristo.
Nell’ultima parte della sua carriera El Greco torna a un linguaggio devozionale che recupera a modo suo il linguaggio bizantino delle icone, con un approccio diretto e frontale, senza alcuna distrazione nel dialogo con i fedeli, con opere dalla grande forza espressiva ed emotiva, nelle quali ricerca la capacità del gesto e dello sguardo.
Uno delle opere più belle raffigura la Maddalena Penitente, nel quale El Greco si era specializzato, dove si può ammirare un’ambientazione straordinaria notturna o crepuscolare con uno squarcio di luce che si apre in cielo ad illuminare il volto espressivo della Maddalena con gli occhi bagnati da lacrime che sembrano quasi sfocati. Caratteristiche sono le lacrime, il volto inclinato pallido e illuminato dalla luce, la bocca spalancata e quell’edera solitaria che fa presa sulla roccia simbolo della fede che resiste. E’ un’immagine celeste, fortemente spiritualizzata e sensuale. Un tema quello della Maddalena penitente molto amato dalla Controriforma per quel fascino tra sacro e profano che El Greco rende molto bene inserendo bellezze umane, imploranti e interiormente tese, in atmosfere soprannaturali e inquietanti.
A chiusura della mostra si trova l’unico dipinto mitologico del pittore la sua interpretazione del Laocoonte.
El Greco aveva visto l’opera scultorea restaurata da Michelangelo a Roma. La sua versione è estremamente originale poiché combina la mitologia con l’ambientazione della città di Toledo, alla maniera di Troia, in uno spettacolo paesaggistico senza precedenti. Un’opera geniale del suo ultimo periodo densa di messaggi che ancora oggi rappresentano una sfida da affrontare nel profondo.
Nella mostra manca la parte più importante della fama del greco e della sua rivalutazione moderna.
El Greco muore nel 1614 e viene quasi dimenticato nel XVII E XVIII secolo quando viene riscoperto dal romanticismo spagnolo e soprattutto dal Novecento in Spagna che gli darà una fama incredibile creando la Greco-mania.
El Greco viene riconosciuto come un antesignano dell’impressionismo, cubismo ed espressionismo, padre della pittura moderna.
Amato dagli impressionisti come Manet e Degas fu ammirato e copiato dagli artisti dell’avanguardia come Cezanne, Picasso, Kandinsky e dagli espressionisti tedeschi ma anche da pittori come Zuloaga, Sorolla e Chagall che apprezzavano soprattutto per il suo linguaggio estetico, l’uso coraggioso del colore e la sua originalità.
L’interesse per El Greco coincise da una parte con l’arrivo dell’arte moderna dall’altra si legò alla crescente influenza del nazionalismo nell’arte.
Così, in pochi decenni El Greco non solo si convertì nel padre dell’arte moderna, ma anche, in maniera del tutto inaspettata, nell’interprete privilegiato dell’anima spagnola e nel precursore del realismo spagnolo del XVII secolo capitanato da Velázquez.
Il poeta Léon Felipe descrive l’unicità dell’opera del Greco in questo modo: “Y en la historia de la pintura española no hay nada parecido…ni en la historia de la pintura del mundo” (Nella storia della pittura spagnola non c’è niente di simile, ma neanche nella storia della pittura del mondo).
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