Michelangelo Merisi detto il Caravaggio è sicuramente uno degli artisti più noti per la sua pittura diretta e realistica e per la sua vita avventurosa e fuorilegge.
Caravaggio (1571-1610) fu famoso e ammirato in vita, pittori come Rubens lo cercarono in tutta Italia per apprendere la sua tecnica di rappresentazione della cruda realtà senza l’idealizzazione o il classicismo tipico dell’epoca.
La sua rivoluzione nel naturalismo si esprime con l’uso maestrale del chiaro-scuro, i soggetti sono resi tridimensionalmente con un’illuminazione che teatralmente sottolinea i volumi dei corpi che escono improvvisamente dal buio della scena.
Caravaggio, nei secoli successivi alla sua morte, fu quasi completamente dimenticato.
In realtà dopo la sua scomparsa, storici dell’arte come Giovan Pietro Bellori nel 1672 ebbero un duro giudizio sul suo modo crudo di rappresentare la realtà e fu presto utilizzato dai suoi detrattori per denigrarne il valore e la memoria.
Questo lungo periodo di oblio fu interrotto solo a metà del XX secolo e la validità della sua opera fu universalmente riconosciuta solo grazie al contributo di alcuni dei più importanti storici dell'arte del tempo, tra i quali spicca il fondamentale apporto critico di Roberto Longhi, che mise in luce la sua importanza nello sviluppo dell'arte pittorica moderna e le sue profonde influenze sull'arte europea dei due secoli successivi, dimostrando la profonda influenza di Caravaggio soprattutto sulla successiva pittura barocca.
Nel 1951 Longhi organizzò la Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi nel palazzo reale di Milano e nel 1968 ne curò una monografia portando l’attenzione dovuta sull’artista.
Nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 nell’Oratorio di San Lorenzo a Palermo avvenne quello che è stato inserito dal FBI tra i 10 più importanti furti di capolavori d’arte al mondo ovvero il furto della Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d'Assisi del Caravaggio.
L’opera come molte opere dell’artista è rivoluzionaria nel trattamento dei personaggi principali.
La Madonna non ha un viso celestiale ma appare come una donna stanca dopo il parto, il Gesù bambino è semplicemente adagiato in terra, sul giaciglio di paglia non brilla di luce propria, ma è anch’egli illuminato dal taglio di luce dall’alto. La vera rivoluzione si riscontra nella figura di San Giuseppe che si discosta dall’iconografia tradizionale: benché ha i capelli corti bianchi la sua corporatura è muscolosa e giovanile nella calzamaglia bianca e camicia verde mentre rivolge le spalle all’osservatore, intento a parlare con un pastore che è accanto a San Francesco.
Dall’altra parte San Lorenzo è accanto al bue mentre dall’alto plana l’angelo simbolo della gloria divina con le fattezze svolazzanti tipiche degli angeli del Merisi che sono, allo stesso tempo, divini e voluttuosi con le enormi ali che sembrano spazzar via la scena con il loro vento.
L’opera considerata una delle sue migliori opere siciliane del 1609 recentemente è stata ricondotta al periodo romano come commissione del commerciante Fabio Nuti, che aveva contatti con l’oratorio palermitano.
Il furto di quest’opera è da considerarsi uno dei più violenti nella storia dell’arte.
L’oratorio di San Lorenzo famoso per i suoi stucchi barocchi di Giacomo Serpotta è sito nel cuore più segreto e nobile di Palermo. Purtroppo negli anni Sessanta la zona versava in fatiscenza e abbandono con illuminazione pubblica insufficiente. Nella notte del 17 e il 18 ottobre 1969, tre soggetti provenienti dalla via Immacolatella entrarono da una delle finestre dell’oratorio, salirono sull’altare maggiore e con una lametta tagliarono la tela dalla cornice.
Da quel momento molte sono state le speculazioni sul fatto che l’opera fosse stata rubata sotto commissione della Mafia interessata al potere economico che gira intorno all’arte visto come grosso business economico. La tela fu citata da diversi pentiti mafiosi nel corso degli anni ma non si arrivò mai a un reale ritrovamento. L’opera per la sua visibilità e conoscenza era impossibile da inserire nel mercato dell’arte anche se si parlarono di passaggi in Svizzera presso galleristi e il giornalista inglese Peter Watson disse che un mercante d'arte gli avesse proposto l'acquisto del capolavoro, ma la sera dell'incontro con i trafficanti, il 23 novembre del 1980, il terremoto dell'Irpinia mandò a monte l'operazione.
Ormai dopo cinquantadue anni dalla sua scomparsa, senza prove di ricostruirne la vera storia è rimasto solo spazio alla leggenda e al mito come avvenne anche per la vita del Caravaggio.
Nel 2015 Sky Arte commissionò per un documentario sull’opera una riproduzione in alta definizione alla ditta Factum Arte che usa dei sofisticatissimi scanner in 3D per ricreare opere perdute e la copia fu collocata nell’Oratorio di San Lorenzo a Palermo.
La copia permette di conoscere e non dimenticare nella memoria collettiva i nostri tesori d’arte.
La storia dell’arte è fatta di molte sorprese per un’opera ormai considerata perduta nel 2014 è stato invece ritrovato in modo al quanto sorprendente un altro capolavoro del Caravaggio.
Il quadro fu ritrovato da una famiglia nel 2014 nell’attico della propria casa a Tolosa in Francia.
L’opera fu mostrata al venditore d’asta Marc Labarbe e in seguito all’esperto e commerciante di antichi maestri Eric Turquin.
Entrambi riconobbero l’opera come Giuditta e Oloferne, quell’originale di Caravaggio considerato scomparso di cui si possiede una copia del franco-fiammingo Louis Finson conservata nel Banco Intesa Sanpaolo di Napoli.
Ogni riscoperta del Caravaggio negli anni ha creato molte discussioni tra i massimi esperti per il suo essere un artista imprevedibile e sempre sorprendente stilisticamente.
Solitamente nell’attribuzione di un’opera d’arte ci sono due fattori fondamentali una è la provenance ovvero lo studio della documentazione di origine e di provenienza dell’opera e la seconda è l’analisi stilistica e scientifica dell’opera.
L’opera è ben documentata. Si sa che fu realizzata dal Caravaggio nel suo periodo napoletano nel 1607 dopo la fuga per omicidio da Roma. Il Caravaggio deve essere stato ospitato nello studio dei fiamminghi Louis Finson e Abraham Vinck che erano pittori, copisti e commercianti d’arte. Al Finson si devono varie copie delle opere di Caravaggio tra cui quella di Giuditta e Oloferne realizzata con le stesse due tele che compongono quella di Caravaggio. Quando Caravaggio dovette abbandonare Napoli per Malta lasciò due opere ai pittori Madonna del Rosario (oggi a Vienna) e Giuditta e Oloferne per essere vendute per 400 e 300 ducati ciascuna.
Le due opere vengono anche citate in due lettere di Ottavio Gentili e di Frans Pourbus per una vendita al Duca di Mantova mai avvenuta. Successivamente, l’opera si ritrova citata nel testamento di Finson ad Amsterdam nel 1617 che cede la sua quota dell’opera al suo socio Vinck ma non si ritrova più nell’inventario di morte di Vinck ad Anversa nel 1619. Probabilmente fu venduta dagli eredi di Vinck all’incisore Alexander Voet.
Per alcuni anni si perdono le tracce del quadro ma si può ipotizzare che arrivò a Tolosa tramite un antenato della famiglia che lo ha ritrovato, che era un ufficiale napoleonico che partecipò nella campagna di Spagna tra il 1808 e il 1814.
Dal punto di vista stilistico l’opera presenta una diversa maturità e drammaticità rispetto all’opera con lo stesso soggetto eseguita precedentemente dal Caravaggio a Roma nel 1600 oggi a Palazzo Barberini.
Le due opere hanno diversi elementi in comune: la posizione della mano di Oloferne, il medesimo orecchino di perla utilizzato anche per la Maddalena Penitente e le stesse dimensioni e dettagli del viso delle due Giuditte.
Se si confronta l’opera di Tolosa con la copia del Finson si riscontra nella copia l’assenza di quell’inventiva originalità, dell’intensità drammatica e del virtuosismo di esecuzione dell’originale.
Quello che aiuta molto nelle attribuzioni è anche l’analisi scientifica in questo caso svolta da Claudio Falcucci che aveva già eseguito analisi ai raggi X su altre opere del Caravaggio riscontrandone una similarità nella preparazione e nelle fasi di esecuzione. I raggi X rivelano l’impressionante velocità nella quale l’artista realizzò la struttura della composizione e tutti i dettagli dipinti, come anche i numerosi pentimenti di realizzazione: cambio dimensione delle dita di Oloferne, cambio forma degli occhi della serva Abra molto sporgenti a causa dell’ipertiroidismo della modella riscontrabile anche dalla deformazione della gola e il cambio degli occhi di Giuditta che originariamente guardavano Oloferne per poi essere rivolti compiacentemente verso lo spettatore.
Tutti questi pentimenti sono così cruciali per l’intera composizione che non possono essere il risultato dell’esitazione di un copista che corregge un errore del disegno.
Un’altra tecnica definita a risparmio, che lascia la preparazione scura in questo caso marrone visibile per delineare aree di colore o per aiutare nelle ombre è largamente utilizzata nel quadro come in altre opere del Caravaggio.
Per concludere è emerso che nell’opera di Giuditta e Oloferne sono state utilizzate alcuni degli aspetti più significanti della tecnica tipica del Caravaggio come il tipo di tela, lo sfondo di preparazione scuro, le linee incise, i disegni preparatori, la linea nera a marcare le forme delle figure principali e l’uso della tecnica a risparmio per le ombre. È molto difficile avere tutti questi elementi insieme in un’opera che non sia di mano del Caravaggio e per questo la maggior parte degli studiosi si convinse sulla sua attribuzione.
L’opera dopo varie esibizioni a Londra, New York e Tolosa venne venduta all’asta il 27 giugno del 2019 ad un privato. Al giorno d’oggi sono accreditate 68 opere al Caravaggio e solo 5 sono in mano a privati ma sicuramente molte altre opere specialmente del periodo giovanile sono ancora da scoprire.
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