Tate Modern- Londra
12 Marzo - 15 Novembre 2020
Tate Modern presenta una considerevole nuova retrospettiva sul lavoro di Andy Warhol, dopo circa 20 anni dalla precedente mostra. Negli ultimi 30 anni, Warhol ha avuto quattro retrospettive, includendo una realizzata solamente l’anno scorso al Whitney Museum of American Art di New York.
Non c’è praticamente quasi niente che non sappiamo circa Andy Warhol.
Pochi artisti americani hanno la sua presenza e sono istantaneamente riconoscibili quanto lui.
Attraverso la sua attenta e coltivata immagine pubblica e la sua volontà di sperimentare tecniche artistiche non tradizionali, Warhol comprese il crescente potere delle immagini nella vita contemporanea e aiutò ad espandere il ruolo dell’artista nella società.
Secondo i curatori della Tate Modern quello presentato è un altro Warhol, non soltanto un artista del suo tempo ma anche del nostro, dal momento che la sua arte ha predetto quasi tutto sul modo in cui viviamo oggi.
La prima parte della mostra è sulla biografia di Andy Warhola: un outsider, figlio di immigrati cattolici slovacchi, un giovane gay cresciuto nell’industriale Pittsburgh, in Pennsylvania.
Le immagini religiose e il glamour dei film hollywoodiani lo interessarono fin dalla giovane età.
Nel 1942 suo padre morì lasciando i suoi risparmi al figlio più giovane per l’università, dove studiò arte pubblicitaria. Nel 1949 si trasferì a New York per lavorare come grafico pubblicitario.
In questa sala ci sono diversi disegni di uomini e il suo primo film artistico Sleep.
Fu realizzato nel corso di diverse notti nell’estate del 1963, con una camera 16mm, filmando il poeta John Giorno, suo amante, mentre dormiva.
La versione finale ripete molte scene e dura cinque ore. È una proiezione in slow motion, che dà l’dea di un sogno ma allo stesso tempo Warhol trasforma il film in qualcosa che può essere trattato come un dipinto appeso ad una parete. Una specie di video arte, una visione voyeuristica, 36 anni prima della prima edizione del Grande Fratello.
La sala successiva potrebbe essere denominata “la grande sala dei capolavori”, una sinopsi con tutti i suoi capolavori pop art: pubblicità in bianco e nero, televisione, bottiglie di Coca Cola, le zuppe Campbell, le sculture fatte con le scatole del Brillo.
In un periodo nel quale gli Espressionisti Astratti cercavano di trascendere la vita ordinaria attraverso il misticismo e lo spiritualismo, Warhol trovava ispirazione e perfino eroismo negli oggetti di tutti i giorni.
Usando la ripetizione, sottili variazioni di superficie, e differenti combinazioni di colori, trasformò gli oggetti quotidiani in qualcosa di visibilmente carico, in un terreno pittorico, combinando immagini pubblicitarie con pitture espressive. Questo creò un chiaro stile grafico conosciuto oggigiorno come Pop Art.
In questo momento Warhol inizia ad adoperare la tecnica serigrafica direttamente sulle tele per creare arte. Uno dei suoi temi era la fascinazione con le celebrities e le star del cinema, spesso riflettendo una larga ossessione colturale su personaggi come Elvis o Marilyn Monroe.
Il dittico di Marilyn fu realizzato poco dopo la sua fatale overdose. È possibile vedere la transizione del colore saturo e pieno sulla sinistra del dipinto fino al colore bianco sulla destra, creando l’effetto che il suo volto si stia dissolvendo come una maschera mortuaria.
La morte è un tema ricorrente nelle sue opere come nella serie Death and Disasters (Morti e disastri), raffiguranti immagini tratte dalle riviste dell’epoca che catturano momenti di violenza, come possiamo vedere nella mostra: uno è un incidente stradale, un altro è una giovane donna che cade da una finestra verso il suo tragico destino.
La sala successiva è dedicata alla Factory, che fu il suo sperimentale studio artistico e spazio sociale. Aperto nel 1963, fu decorato da pitture e fogli metallici argentati sfondo per le sue serigrafie e per il suo nuovo interesse per i film indipendenti e alternativi. Realizzò la serie Screen Test dal 1964-66, nella quale documentava la gente che passava dalla Factory, i suoi amici e le superstar sedevano davanti alla telecamera senza far nient’altro che sostenere la sua vista per la durata della bobina del film.
Nel 1965 Warhol annunciò il suo addio alla pittura per dedicarsi alla sperimentazione cinematografica e fece il suo addio in una galleria di New York. La Tate riproduce una di quelle
stanze chiamata Silver Clouds (Nuvole argentate), una sala riempita di palloncini argentati gonfiati con l’elio che fluttuavano e intrattenevano lo spettatore. Il color argento era intimamente connesso con Warhol: la sua argentata Factory, i suoi dipinti argentati e i suoi parrucchini grigio-argentati.
Nel 1968 la Factory fu spostata in un nuovo edificio: il “periodo argentato” era finito come anche lo spazio aperto per la socializzazione. Il 3 giugno 1968, la scrittrice Valerie Solanas sparò a Warhol nel petto e nell’addome, danneggiando i suoi organi interni. Fu dichiarato morto mai dottori riuscirono a rianimarlo. Questo episodio minò la sua salute fisica e mentale per tutta la sua vita e cambiò il suo approccio verso le persone che lo seguivano.
Negli anni Settanta tornò alla pittura con una nuova serie su Mao, dopo che il presidente Nixon fu in visita in Cina, facendo del leader comunista un prodotto commerciale di massa. Nella stessa sala è possibile vedere un altro soggetto legato al tema della morte Skulls (teschi) che riflette sul classico tema del “memento mori”.
Nella serie Ladies and Gentlemen (1975), commissionata dal gallerista Luciano Anselmino, dipinse le drag queens e le trans di colore e latine di New York. Warhol si focalizzò soprattutto sulle drag queens e la rappresentazione dell’identità queer più di come aveva fatto negli anni Cinquanta, creando uno specifico stile Pop Art. Adottando uno stile pittorico diverso dai ritratti, lavorò direttamente sulle tele, spesso con le dita, per creare strati inusuali, superfici con ampie palette di colori che mostrano una fluidità e mutabilità del genere anche nell’uso di un colore più liquido.
Negli anni Settanta e Ottanta Warhol era una celebrità internazionale. I suoi sperimenti si erano allargati alla televisone con progetti come Andy Warhol’s Fifteen Minutes on MTV (I 15 minuti con Andy Warhol su MTV), sulla rivista Interview, che Warhol iniziò nel 1969 e in tutte le sue apparizioni, in Tv, riviste e tabloid.
Bellissimi sono i ritratti di Debby Harry in lilla e turchese e lime e giallo sulfureo, e Mick Jagger in 1975, con la strana forma della testa e dei capelli, in un rosa Elastoplast, mostra la sua giovane bellezza consumata.
Con il proseguire degli anni Ottanta si focalizzò su temi politici e religiosi.
Uno dei temi caldi del momento era la Guerra Fredda tra gli Usa e USSR. Nella Statue of Liberty (la statua della Libertà), per celebrare il 100 anniversario della statua, Warhol dipinse un camouflage mimetico su questo simbolo di libertà.
Negli anni Ottanta lavorò anche sulla sua propria immagine nelle opere d’arte, creando il suo famoso autoritratto “fright wig” (Parrucca con capelli ritti) per una mostra a Londra. Il suo parrucchino diventa il soggetto principale del ritratto arricchendo l’espressione del volto.
L’ultima opera è Last Supper (L’Ultima Cena), consistente in 60 dipinti riproducenti una copia del XIX secolo della famosa Ultima Cena di Leonardo da Vinci. La scelta di copiare una copia dell’originale, era per evocare la ripetizione dell’Ultima cena che avviene in ogni messa durante l’eucarestia.
Realizzato nei primi anni di crisi dell’AIDS, il dipinto offre una meditazione sulla militanza, il sacrificio spirituale, il lutto, forse rappresentando la complessità di Warhol come uomo gay e come
Cattolico bizantino.
L’ultima Cena passò per essere anche la sua ultima opera perché morì per i postumi di un’operazione il 22 febbraio 1987, a 58 anni.
Questa mostra rivela nuove complessità riguardo a Warhol e al modo nel quale noi pensiamo di conoscerlo, dando nuove interpretazioni e visibilità alle sue opere degli anni Settanta e Ottanta, e avvicinandolo alle nuove generazioni con la sua ossessione per il consumismo, l’adorazione per le celebrities e l’uso innovativo e creativo dei social media.
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